C’è un nodo – anzi, ormai, un autentico groviglio – da sciogliere nei rapporti tra intelligenza artificiale, algoritmi e procedimenti amministrativi e bisogna far presto.

La questione è semplice nei suoi tratti essenziali anche se diventa incredibilmente complicata nelle decine di sue possibili declinazioni: una pubblica amministrazione può demandare a un algoritmo la gestione di un procedimento amministrativo?

Nell’ambito di una vicenda che ha ormai assunto i contorni dell’autentica epopea giudiziaria moderna le posizioni dei Giudici amministrativi – del TAR e del Consiglio di Stato – continuano a alternarsi e contrapporsi alla velocità di una pallina in un match tra campioni di ping pong.

La vicenda è quella dell’utilizzo da parte del Ministero dell’Università di un algoritmo per la gestione di un procedimento amministrativo finalizzato all’assegnazione di sedi a docenti in graduatoria.

Sebbene nel merito i ricorrenti – docenti assegnati in sedi diverse e lontane da quelle alle quali hanno sostenuto di aver diritto – continuino a sentirsi dar ragione, i principi enunciati dei Giudici si susseguono tra chi nega cittadinanza all’algoritmo e all’intelligenza artificiale nel procedimento amministrativo, chi un istante dopo gliela riconosce e anzi ne auspica l’utilizzo e chi torna a negargliela.

Il 10 settembre del 2018, i Giudici del Tar Lazio scrivono: “alcuna complicatezza o ampiezza, in termini di numero di soggetti coinvolti ed ambiti territoriali interessati, di una procedura amministrativa, può legittimare la sua devoluzione ad un meccanismo informatico o matematico del tutto impersonale e orfano di capacità valutazionali delle singole fattispecie concrete, tipiche invece della tradizionale e garantistica istruttoria procedimentale che deve informare l’attività amministrativa, specie ove sfociante in atti provvedimentali incisivi di posizioni giuridiche soggettive di soggetti privati e di conseguenziali ovvie ricadute anche sugli apparati e gli assetti della pubblica amministrazione. Un algoritmo, quantunque, preimpostato in guisa da tener conto di posizioni personali, di titoli e punteggi, giammai può assicurare la salvaguardia delle guarentigie procedimentali che gli artt. 2, 6,7,8,9,10 della legge 7.8.1990 n. 241 hanno apprestato, tra l’altro in recepimento di un inveterato percorso giurisprudenziale e dottrinario”.

Fuori gli algoritmi dal procedimento amministrativo insomma.

L’8 aprile 2019 i Giudici del Consiglio di Stato ribattono: ““In generale, non può essere messo in discussione che un più elevato livello di digitalizzazione dell’amministrazione pubblica sia fondamentale per migliorare la qualità dei servizi resi ai cittadini e agli utenti… devono sottolinearsi gli indiscutibili vantaggi derivanti dalla automazione del processo decisionale dell’amministrazione mediante l’utilizzo di una procedura digitale ed attraverso un “algoritmo” – ovvero di una sequenza ordinata di operazioni di calcolo– che in via informatica sia in grado di valutare e graduare una moltitudine di domande. L’utilità di tale modalità operativa di gestione dell’interesse pubblico è particolarmente evidente con riferimento a procedure seriali o standardizzate, implicanti l’elaborazione di ingenti quantità di istanze e caratterizzate dall’acquisizione di dati certi ed oggettivamente comprovabili e dall’assenza di ogni apprezzamento discrezionale. Ciò è, invero, conforme ai canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (art. 1 l. 241/90), i quali, secondo il principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), impongono all’amministrazione il conseguimento dei propri fini con il minor dispendio di mezzi e risorse e attraverso lo snellimento e l’accelerazione dell’iter procedimentale. Per questa ragione, in tali casi – ivi compreso quello di specie, relativo ad una procedura di assegnazione di sedi in base a criteri oggettivi – l’utilizzo di una procedura informatica che conduca direttamente alla decisione finale non deve essere stigmatizzata, ma anzi, in linea di massima, incoraggiata: essa comporta infatti numerosi vantaggi quali, ad esempio, la notevole riduzione della tempistica procedimentale per operazioni meramente ripetitive e prive di discrezionalità, l’esclusione di interferenze dovute a negligenza (o peggio dolo) del funzionario (essere umano) e la conseguente maggior garanzia di imparzialità della decisione automatizzata.”

Benvenuti agli algoritmi nel procedimento amministrativo quindi.

Poi il 13 settembre scorso di nuovo il TAR Lazio, sempre nella stessa vicenda, con i Giudici che si limitano a virgolettare la decisione dei loro colleghi del settembre dell’anno precedente senza aggiungere neppure una parola, tornando a condannare gli algoritmi all’ostracismo procedimentale: fuori dal procedimento amministrativo.

L’effetto di questo andirivieni di decisioni contrastanti – almeno nei principi – è evidente: si genera incertezza giuridica, diffidenza, dubbi e perplessità con il risultato di continuare a ritardare il giorno nel quale l’uso di algoritmi trasparenti e utilizzati in maniera democraticamente sostenibile potrà venire in soccorso di un’amministrazione in evidente difficoltà e che non può rinunciare a salire sul treno del futuro.

Sciogliere il nodo, scioglierlo bene e in fretta, identificando un set minimo di regole, best practice e indicazioni che valgano a non buttare via gli “algoritmi buoni” con l’acqua sporca.

Author elex

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