Con la sentenza n. 3952 del 1° dicembre 2021 (depositata l’8 febbraio 2022), la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata di nuovo sul tema del diritto all’oblio e, nello specifico, del bilanciamento dell’interesse a vedere “dimenticati” determinati accadimenti con il passare del tempo, da un lato, e quello dei consociati ad essere informati in merito a detti accadimenti, dall’altro.
I fatti oggetto della vicenda
Con una richiesta del 22 aprile 2015, un utente aveva inoltrato a due gestori di un motore di ricerca una richiesta fondata sul diritto all’oblio, avente ad oggetto la rimozione – dai risultati delle ricerche effettuate con detto motore – delle notizie che collegavano il nome dell’interessato a una vicenda giudiziaria risalente nel tempo.
A valle del rifiuto dei gestori di dare seguito alla richiesta, l’interessato aveva proposto ricorso all’Autorità garante per la protezione dei dati personali che, in accoglimento del ricorso, ordinava sia la rimozione degli URL sia la cancellazione delle copie cache dalle pagine accessibili tramite detti URL.
Le società impugnavano poi il provvedimento del Garante presso il Tribunale di Milano, che rigettava il ricorso con sentenza del 15 gennaio 2016, a sua volta impugnata per Cassazione.
La deindicizzazione alla luce delle pronunce della Cassazione
Nella pronuncia in esame, il Collegio si è diffusamente soffermato sul concetto e sulla ratio della cosiddetta deindicizzazione, ossia il rimedio atto ad evitare che il nome di una persona sia associato dal motore di ricerca a fatti di cui internet continua a conservare memoria.
La summenzionata pratica costituisce una declinazione del noto diritto all’oblio (in inglese, right to be forgotten) e, nello specifico, il diritto della persona a non essere trovata facilmente sulla rete (in inglese, right not to be found easily). In tal senso, la deindicizzazione consente di escludere che delle ricerche effettuate partendo dal nome di un determinato soggetto possano condurre a risultati idonei a fare conoscere ambiti della vita passata di questo che, tuttavia, non possono essere totalmente oscurati (in quanto presentano ancora un interesse per la collettività).
L’obiettivo del rimedio in commento è, pertanto, preservare l’identità digitale dei cittadini, evitando che gli utenti di internet – che ignorano il coinvolgimento della persona nelle vicende in questione – possa imbattersi in notizie riguardanti le stesse in maniera casuale o, ancora, in quanto animati “dalla curiosità di conoscere aspetti della trascorsa vita altrui di cui la rete ha ancora memoria”.
Ecco allora che la deindicizzazione costituisce il punto di incontro, per dir così, tra il diritto ad essere dimenticato, in capo al singolo, e quello all’informazione, in capo a tutti i consociati.
In tal senso, inoltre, si era già pronunciata la Corte EDU con riferimento al diritto al rispetto della vita privata (art. 8 della CEDU) e il diritto alla libertà di espressione (art. 10 della CEDU), fornendo precisi criteri per la ponderazione dei diritti in commento, tra cui il contributo della notizia ad un dibattito di interesse generale, il grado di notorietà del soggetto e della notizia, la sua veridicità, etc. (ex pluribus, Corte EDU 19 ottobre 2017, Fuchsmann c. Germania; Corte EDU 28 giugno 2018, M.L. e W.W. c. Germania).
In conclusione, la deindicizzazione attiene alla durata e alla facilità di accesso alle informazioni, ma non anche alla loro conservazione su internet.
Nel caso oggetto della pronuncia in esame, tuttavia, non era controversa la legittimità della deindicizzazione, ma, diversamente, l’ordine di procedere alla cancellazione delle copie cache delle pagine internet accessibili tramite l’URL degli articoli che trattavano della vicenda rispetto alla quale era stato esercitato il diritto all’oblio.
La conservazione delle copie cache
La copia cache su siti internet indicizzati consente al motore di ricerca di fornire una risposta più veloce ed efficace all’interrogazione posta dall’utente attraverso una o più parole chiave. La cancellazione di questa impedisce (o, comunque, rende più difficile) al motore di ricerca di indirizzare l’utente alla notizia presente sul web, a prescindere dalle chiavi di ricerca utilizzate.
Risulta evidente che, rispetto al bilanciamento di cui sopra, nella cancellazione delle copie cache occorre ravvisare una netta prevalenza del diritto alla riservatezza di una persona rispetto a quello all’informazione.
A tale proposito, il Collegio ha ricordato la Raccomandazione CM/Rec (2012) del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, la quale evidenzia che uno dei presupposti per l’esistenza di motori di ricerca efficaci è la libertà di scansionare e indicizzare le informazioni disponibili su internet, nonché che il filtraggio e il blocco dei contenuti da parte dei gestori dei motori comporta, nei fatti, una compressione del diritto all’informazione di cui all’art. 10 della CEDU.
Le conclusioni della Suprema Corte
Tanto premesso in merito alle nozioni (e alle diverse implicazioni) della deindicizzazione e della cancellazione di copie cache, la Cassazione ha concluso che il bilanciamento da compiersi con riferimento a quest’ultima non coincide con quello operante ai fini della prima.
Infatti, nel caso delle copie cache, il sacrificio del diritto all’informazione non ha ad oggetto una notizia raggiungibile attraverso una ricerca condotta a partire dal nome della persona, ma, piuttosto, la notizia in sé considera (e, in quanto tale, raggiungibile attraverso ogni diversa chiave di ricerca).
Da ciò discende il principio in base al quale – con riferimento a detta cancellazione – il giudizio di bilanciamento deve essere ancora più stringente ed avere ad oggetto il diritto all’oblio dell’interessato, da un lato, e quello alla diffusione dell’informazione in sé considerata, dall’altro.
Nel caso esaminato dalla Corte, avendo la stessa rilevato che il Tribunale di Milano (e il Garante prima) aveva calibrato il proprio ragionamento sulla vicenda personale dell’interessato, ha rinviato la causa a detto Tribunale (in diversa composizione) al fine di applicare il summenzionato principio.
Ariella Fonsi