Ad una settimana dall’accusa di concorrenza sleale da parte del governo americano, l’Antitrust apre un’istruttoria contro Google per abuso di posizione dominante nel mercato italiano del display advertising.

Di Maria Grazia Capolupo


È del 28 ottobre scorso il provvedimento  con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un’istruttoria per abuso di posizione dominante nei confronti di Google, contestandole l’uso discriminatorio dei dati – raccolti attraverso le proprie applicazioni – per l’elaborazione delle campagne pubblicitarie di display advertising, in violazione dell’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea.

Come noto, tale disposizione vieta lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una sua parte sostanziale, nella misura in cui ciò possa arrecare un pregiudizio al mercato intraeuropeo.

Il mercato oggetto di esame da parte dell’AGCM è quello della pubblicità online ed i mercati ad esso collegati nei quali la raccolta, l’analisi e l’utilizzo dei c.d. Big Data sono essenziali per la pianificazione delle campagne promozionali e per la personalizzazione delle offerte in relazione alle caratteristiche del singolo utente.

L’istruttoria è stata avviata nei confronti di Google LLC, di Alphabet Inc. (la holding americana che ne detiene il controllo) e di Google Italy S.r.l., su segnalazione della Interactive Advertising Bureau Italia (IAB), la principale associazione di categoria di imprese attive in Italia nel settore del digital advertising.

Oggetto del procedimento sono i servizi pubblicitari via internet e, in particolare, i servizi di intermediazione della pubblicità espositiva sui siti web, c.d. display advertising, ovvero gli spazi che gli editori e i proprietari dei siti mettono a disposizione online per il collocamento dei contenuti pubblicitari.

Secondo l’accusa, Google avrebbe posto in essere una serie di condotte di discriminazione interna-esterna nel mercato dell’intermediazione del digital advertising, volta ad escludere gli altri competitor del settore, privando, di conseguenza, inserzionisti ed editori della possibilità di scegliere i propri interlocutori commerciali.

In particolare, la strategia escludente messa in atto da Google si sarebbe sostanziata in tre condotte:

i) interruzione (dal 25 maggio 2018) delle chiavi di decriptazione dell’ID utente Google: l’ID utente (decriptato) della Google Marketing Platform associato all’ID utente di terze parti consentiva ad inserzionisti ed editori di profilare compiutamente gli utenti, ricostruendone i contegni assunti sia all’interno che all’esterno del Sistema Google, e di elaborare un profilo sufficientemente specifico di ciascun utente attraverso i suoi contenuti di navigazione, tale da consentire l’invio di contenuti pubblicitari rispondente, in maniera sufficientemente precisa, ai suoi interessi;

ii) interruzione degli spazi pubblicitari su YouTube venduti da intermediari terzi: dal 6 agosto 2015, Google non avrebbe consentito più agli inserzionisti concorrenti di acquistare spazi pubblicitari sulla nota piattaforma di videosharing tramite operatori terzi;

iii) interruzione dei dispositivi di tracciamento degli utenti (es. cookie, pixel di tracciamento) di operatori terzi su YouTube: Google avrebbe impedito agli operatori del mercato in questione di raccogliere indipendentemente i dati di profilazione attraverso i pixel di tracciamento di terze parti su YouTube, fornendoli, dal 21 maggio 2018, solo sotto forma di dati aggregati.

Come si legge nell’provvedimento dell’AGCM, “tali condotte sarebbero idonee a determinare effetti restrittivi della concorrenza, nella misura in cui il rifiuto di fornire tali strumenti determina un ingiustificato vantaggio competitivo”, in considerazione della posizione di preminenza che Google detiene nei diversi mercati che compongono la filiera della pubblicità online.

Facendo leva sulla gran mole di dati ottenuti attraverso la molteplicità dei servizi offerti – il sistema operativo Android, il browser Chrome per PC e dispositivi mobili, i servizi di cartografia e navigazione (Maps/Waze), i servizi legati all’ID Google (Gmail, Drive, Docs, Sheets, YouTube) – Google è infatti in grado di osservare le attività degli utenti e di ottenere una profilazione puntuale delle loro attività, che è preclusa agli altri competitor del mercato e che, a seguito di tali condotte di rifiuto, appare contraria alle regole della concorrenza e idonea ad alterare il commercio tra gli Stati membri. 

L’apertura dell’istruttoria da parte dell’AGCM arriva, peraltro, all’indomani dell’annuncio del governo federale USA dell’avvio di una delle più grosse cause antitrust degli ultimi vent’anni contro un colosso del web.

La decisione dell’Antritrust USA prende le mosse dal lungo rapporto elaborato dal Congresso statunitense sulle posizioni dominanti dei quattro colossi Google, Amazon, Apple e Facebook avente ad oggetto un lungo elenco di condotte potenzialmente contrarie alla normativa sulla concorrenza.

Il Governo statunitense, al termine di un’indagine durata oltre un anno, ha infatti annunciato di avviare un’azione legale nei confronti di Alphabet, accusata di condotte anticoncorrenziali che avrebbero consentito al famoso motore di ricerca di mantenere ed accrescere la propria posizione dominante sul mercato attraverso una rete di accordi commerciali illegittimi.

La teoria dell’accusa è che Alphabet utilizzi gli enormi proventi ottenuti grazie alle inserzioni pubblicitarie per pagare le aziende tecnologiche, i siti web e gli operatori telefonici al fine di assicurarsi che Google mantenga la propria posizione dominante nei motori di ricerca e nella pubblicità online.

Sotto la lente del Dipartimento di Giustizia e di 11 procuratori generali dei singoli Stati ci sono gli accordi commerciali aventi ad oggetto il sistema operativo Android di proprietà di Google che prevedendo che il motore di ricerca sia preimpostato sulla maggior parte dei dispositivi mobili e che non possa essere eliminato da questi, finirebbero con il garantire a Google di avere il monopolio delle ricerche online

Oggetto di particolare attenzione sarebbe l’accordo fra Alphabet e Apple a cui, secondo l’accusa, ogni anno verrebbero versati fra gli 8 e i 12 miliardi di dollari per assicurare che Google sia il motore di ricerca predefinito sugli iPhone, da cui proverebbe poco meno del 50% delle ricerche compiute attraverso il motore di ricerca.

Se è certo che il procedimento nostrano dovrà concludersi entro il 30 novembre 2021, ben più difficile appare ipotizzare i tempi della giustizia americana.


Immagine di Launchpresso su Unsplash

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