La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”), in una sua recente decisione (C-392-19), ha avuto modo di esprimersi sulla legittimità di tecniche quali il linking e framing quando impiegate nel contesto delle diffusioni di opere online.
Questo giudizio ha infatti il merito di chiarire definitivamente, a seguito di altre pronunce aventi lo stesso oggetto (“Svensson”, “Best Water” e “GS Media”) la questione sottesa all’impiego di tale tecnica e alle facoltà dell’avente diritto a riguardo.
La CGUE ha infatti affermato che il titolare del diritto d’autore può legittimamente richiedere, contrattualmente, che il linking e/o framing delle proprie opere sia limitato, anche tramite clausola espressa che imponga l’impiego di misure tecnologiche finalizzate alla protezione dello stesso link, al fine di non renderlo liberamente fruibile oltre quanto stabilito contrattualmente.
Parti del giudizio sono state, da un lato, la fondazione del patrimonio culturale prussiano e, dall’altro, un’associazione tedesca di amministrazione collettiva del diritto d’autore di arti figurative.
La CGUE è stata adita dalla prima avverso il rifiuto da parte della collecting di stipulare un contratto di licenza per l’utilizzo del proprio catalogo di opere da parte della fondazione in assenza di una clausola che obbligasse quest’ultima, in quanto licenziataria, ad adottare misure tecnologiche per prevenire il framing da parte di terzi delle opere protette concesse in licenza, nel momento in cui il licenziatario avrebbe utilizzato le opere protette. Per “framing” si intende la tecnica di includere un sito esterno, oppure una porzione di esso, all’interno di una gabbia di frame HTML in modo che il contenuto venga erogato direttamente dal sito esterno.
Nella sua decisione, la Corte, ricordando giurisprudenza in merito all’articolo 3, paragrafo 1 della direttiva Infosoc, ha fatto riferimento al carattere preventivo della normativa e alla necessità di stabilire un elevato livello di protezione per gli autori, valutando caso per caso e prendendo in considerazione criteri autonomi sulla qualificazione del concetto di “comunicazione al pubblico”.
La Corte si è concentrata, in particolare, sul comportamento del titolare del diritto d’autore: se questo autorizza la pubblicazione della propria opera esplicitamente e senza riserve oppure senza ricorrere a misure tecnologiche che limitino l’accesso o l’utilizzo della sua opera, allora un link connesso a tale opera non rientra nell’ambito di applicazione della citata normativa; al contrario, se il titolare dei diritti impone o istituisce misure tecnologiche che limitino l’accesso o l’utilizzo della sua opera, un link volto ad eludere tali misure rientrerebbe certamente nell’ambito di applicazione della normativa.
Con riferimento al caso oggetto di analisi, la Corte ha affermato che quando il titolare del diritto d’autore ha adottato o imposto misure restrittive contro il framing, l’incorporazione di un’opera in una pagina Internet di un terzo, mediante tale tecnica, costituisce una messa a disposizione di tale opera ad un pubblico nuovo e non incluso nella licenza.
Tale comunicazione al pubblico deve pertanto ricevere l’autorizzazione dei titolari dei diritti interessati. Infatti, l’approccio opposto equivarrebbe a sancire una regola di esaurimento del diritto di comunicazione. Tale regola priverebbe il titolare del diritto d’autore della possibilità di esigere un compenso adeguato per l’utilizzo della sua opera. Pertanto, un simile approccio violerebbe il giusto equilibrio che deve essere mantenuto, nell’ambiente digitale, tra, da un lato, l’interesse dei titolari del diritto d’autore e dei diritti connessi alla protezione della loro proprietà intellettuale e, dall’altro, la tutela degli interessi e dei diritti fondamentali degli utenti di materiali protetti.
Infine, la Corte precisa che la limitazione imposta dal titolare del diritto d’autore all’utilizzo del framing non può essere assoluta. Infatti, in presenza di adeguate misure tecnologiche di protezione dell’opera, l’utilizzo di tale tecnica dovrà comunque intendersi consentito. Infatti, in assenza di misure del genere, potrebbe essere pressoché impossibile, per un organo giudicante, esprimersi sulla liceità di tale tecnica e verificare se il titolare abbia inteso opporsi al framing delle sue opere oppure abbia prestato il proprio consenso alle stesse.