Decidendo circa l’applicazione dell’esimente di cui all’art. 599 c.p., la Corte di Cassazione torna sul tema del lasso temporale entro il quale la reazione, direttamente discendente da provocazione, deve realizzarsi.

Di Maria Vittoria Aprigliano


Con sentenza n. 3204/2021, la Cassazione ha condannato l’imputata per il reato di diffamazione aggravata, confermando quanto già deciso nei primi due gradi di giudizio.

In particolare, la Corte non riconosce l’attenuante della provocazione perché la pubblicazione di post su Facebook in cui si offendono l’ex marito e la sua amante, realizzata a distanza di tempo dalla fine della relazione, rivela sentimenti di vendetta.

La vicenda prende le mosse dalla conferma della sentenza di I grado operata dalla Corte d’Appello di Lecce.

Il giudice di seconde cure ha condannato l’imputata alla pena di 1.500,00 euro di multa e al risarcimento del danno per il reato di diffamazione aggravata commessa ai danni dell’ex coniuge e dell’amante.

Nel ricorrere per Cassazione, l’imputata solleva tre motivi di doglianza:

  • rileva l’inutilizzabilità delle dichiarazioni della persona offesa, in quanto indagata e imputata in un procedimento connesso per il reato di atti persecutori in danno dell’imputata;
  • contesta il mancato riconoscimento dell’esimente della provocazione rappresentata dalla relazione extraconiugale e, contesta altresì, la mancata valutazione delle condotte moleste e diffamatorie messe in atto dall’amante ai danni dell’imputata tra il 2013 e il 2015;
  • lamenta, infine, l’entità della pena inflitta, superiore al massimo edittale di 1032,00 euro.

Gli Ermellini decidono di accogliere solamente il terzo motivo, annullando la sentenza e rinviando per la rideterminazione della pena.

Con riferimento al primo motivo di ricorso, la Cassazione puntualizza che l’inutilizzabilità delle dichiarazioni della persona offesa derivante dall’omissione dell’avvertimento di cui all’art. 64, III comma, lett. c) è integrabile solo ove questa sia stata dedotta prima di procedere all’esame della stessa.

Inoltre, la Corte rileva il difetto di specificità dell’eccezione di inutilizzabilità e, richiamando le Sezioni Unite, conferma che: “è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare […] gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì l’incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato”.

Anche il secondo motivo di ricorso, afferente all’esimente della provocazione, è stato dichiarato inammissibile per genericità.

A questo proposito, la Corte afferma che per l’applicazione dell’esimente di cui all’art 599 c.p.[1] è richiesta l’immediatezza della reazione, requisito di cui è priva la condotta dell’imputata.

Infatti, la Corte rileva che la condotta diffamatoria dell’imputata è stata posta in essere quando la relazione extraconiugale del marito era terminata, “e comunque per un tempo eccedente rispetto alla immediatezza dei fatti, essendo dunque espressione più di un proposito di vendetta, di uno sfogo della rabbia […], che di una reazione ad una provocazione”.

Specifica altresì la Corte che per riconoscere l’esimente della provocazione non occorre che la reazione sia istantanea, ma è innegabile che la stessa debba essere immediata, per cui “il passaggio di un lasso di tempo considerevole può assumere rilevanza al fine di escludere il rapporto causale e riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l’odio o il rancore.”

Infine, il Collegio precisa che anche la deduzione di atti persecutori commessi dall’amante dell’ex marito è successiva e non immediata rispetto alla diffamazione e quindi incapace d’integrare un fatto ingiusto ricollegabile al reato di cui all’art. 595 c.p..


[1] Art. 599 c.p. – Provocazione: “Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dall’articolo 595 nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso”.


Immagine di Camilo Jimenez su Unsplash

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