Con la decisione N. 33843 C dello scorso 14 settembre, l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) ha dichiarato la nullità del marchio figurativo “Flower Thrower”, costituito dall’opera omonima dell’artista Banksy, per malafede del depositante, sulla base dell’art. 59 del Regolamento UE n. 1001/2017 sul marchio dell’Unione Europea.
Il marchio in questione era stato depositato nel 2014 dalla Pest Control Office Limited, la società che rappresenta i diritti dell’artista britannicoe, nel 2019, la Full Colour Black Limited, società che commercializza cartoline e altri gadget con opere dell’artista, ne ha chiesto l’annullamento. La Full Colour Black ha asserito che il marchio in questione, già diffusamente utilizzato da terzi diversi dal titolare, fosse privo di capacità distintiva e, soprattutto, fosse stato depositato in malafede in quanto, al momento del deposito, il depositante non aveva alcuna intenzione di utilizzarlo per gli scopi propri del marchio. Le argomentazioni svolte dalla Full Colour Black sono state condivise dalla Commissione di annullamento dell’EUIPO che, con una motivazione assai articolata, ha quindi concluso per la non tutelabilità dell’iconica immagine.
La decisone presenta diversi profili di interesse, a cominciare dalla ricostruzione dell’istruttoria svoltasi nel corso del procedimento: tra le diverse circostanze riportate agli atti, ad esempio, l’Ufficio ha ritenuto ininfluente – dunque inidonea a confutare le argomentazioni della Full Color Black – l’apertura, ad opera della stessa Pest Control Office, di un punto vendita a Londra denominato “Gross Domestic Product”, tenuto conto che l’artista, nel contempo, aveva pubblicamente dichiarato che lo scopo reale di tale iniziativa fosse quello di aggirare le regole della proprietà intellettuale. Lo street artist ha più volte proclamato che l’arte deve essere accessibile a tutti e, coerentemente con lo spirito della street art, che le sue opere sono liberamente utilizzabili da chiunque, purché ciò non avvenga per scopi commerciali.
“Il negozio che non apre mai”, – così testualmente si legge sul profilo Instagram dell’artista – ha chiuso pochi giorni dopo la sua apertura e gli oggetti che lo avevano allestito sono stati messi in vendita su un sito on line. Il sito, in apertura, recava un disclaimer per avvisare che gli articoli disponibili erano in numero ridotto (poiché realizzati artigianalmente) e che i prezzi erano particolarmente contenuti (pare circa 10 sterline per una tazza) perché la vendita era destinata esclusivamente ai possessori di un reddito basso. Ma ciò non è bastato a convincere l’Ufficio delle corrette intenzioni del titolare e dell’autore circa l’uso effettivo del marchio.
Leggendo la decisione risulta chiaro che le dichiarazioni rilasciate da Banksy, nelle diverse occasioni, sembrano essere state determinanti per l’EUIPO, che ha così avuto conferma – se non dimostrazione – dell’inesistenza di una reale intenzione di utilizzare il marchio depositato da parte del titolare.
Numerosi altri sono gli spunti che si incontrano nella lettura della motivazione e che, di certo, daranno linfa al dibattito, mai sopito, circa l’ambito di tutela del marchio e la sua ipertrofia: si affronta il tema della tutelabilità di un’opera d’arte come marchio, l’anonimato dell’autore come ostacolo alla registrazione per l’impossibilità di verificarne la paternità e, ancora, l’impossibilità di riconoscere protezione ad un’opera illecita qual è, in genere, l’opera di street art.
Quello che di certo, nell’ambiente dei marchi, ha fatto non poco rumore è la connotazione della mala fede presa in considerazione dall’EUIPO che, nel caso “Flower Thrower”, viene ravvisata nella “presunta volontà” del titolare, al momento del deposito della domanda, di non utilizzare realmente il marchio per gli scopi specifici della tutela riconosciuta dall’ordinamento. Circostanza che, come detto sopra, è stata poi confermata nel corso del procedimento.
Per capire la portata delle conclusioni a cui perviene l’EUIPO occorre partire dal fatto che la definizione della mala fede rilevante ai fini della dichiarazione di nullità di un marchio, assente nella normativa UE, è stata fornita dalla giurisprudenza, la quale ravvisa la malafede nel perseguimento di un vantaggio indebito per mezzo di comportamenti abusivi (cfr. conclusioni dell’avvocato generale Sharpston del 12/03/2009,- 529/07, Lindt Goldhase, EU: C: 2009: 361, § 60). Precisa l’EUIPO che la buona fede del titolare si presume fino a prova contraria e che tale prova deve essere fornita da chi richiede l’annullamento con fatti univoci, oggettivi e coerenti.
Nel caso del marchio di Banksy, dopo aver esaminato diversi elementi di fatto, tra cui l’uso del marchio da parte di terzi senza il consenso del titolare o dell’artista ma con la loro tolleranza, l’EUIPO ha declinato la definizione della malafede fornita dalla giurisprudenza alla luce della recente sentenza del 29/01/2020, 371/18 (SKY, EU: C: 2020: 45) e ha così concluso che lo scopo perseguito dal titolare – la Pest Control Office – non fosse in linea con le funzioni proprie di un marchio registrato ossia l’identificazione e la certezza della provenienza di prodotti e servizi, funzioni che, nel caso di “Flower Thrower”, non erano quelle realmente perseguite con la registrazione del marchio. Non resta che attendere il ricorso avverso la decisione per comprenderne appieno l’impatto sul sistema e, con non minore curiosità, come potrà concludersi la battaglia di Banksy contro il mondo della proprietà intellettuale.