Con l’ordinanza n. 11019 del 26 aprile 2021, la Cassazione si è pronunciata sul ricorso avverso ad un provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali contro una nota compagnia telefonica, con riguardo alle campagne marketing di “recupero dei consensi”, confermando la precedente pronuncia del 5 maggio 2017 del Tribunale di Milano.
La vicenda
Il Garante per la protezione dei dati personali sanzionava una nota compagnia telefonica con provvedimento del 22 giugno 2016, vietando il trattamento per finalità di marketing dei dati personali, in riferimento alle utenze oggetto delle campagne “recupero crediti”, trattati in assenza di un previo consenso legittimamente manifestato.
La compagnia telefonica si opponeva al provvedimento e ricorreva dinanzi al Tribunale di Milano. Il giudice milanese accertava che pur in assenza di un consenso degli interessati, nel corso dell’anno 2015 la compagnia telefonica aveva contattato telefonicamente cinque milioni di clienti.
Nello specifico, la campagna “recupero consensi” realizzata comportava l’utilizzo dell’intera base dati dei clienti “cessati e non consensati”, in violazione della normativa sul trattamento dei dati personali ed altresì di una precedente prescrizione impartita nei confronti della stessa compagnia telefonica nel 2007. Tale prescrizione sollecitava la società ad implementare tutte le misure necessarie per rendere il trattamento dei dati della clientela compliant con la disciplina privacy.
Il Tribunale di Milano, pertanto, con sentenza del 5 maggio 2017, rigettava il ricorso, accertando, in forza dell’art. 23 del D. lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (“Codice privacy”), l’illegittimità dell’attività dell’operatore di contattare con finalità promozionali coloro che avevano negato espressamente di voler ricevere comunicazioni di tal genere mediante campagne di “recupero del consenso”.
Queste ultime non erano – a differenza di quanto sostenuto dalla compagnia telefonica – indirizzate ad accertare la permanenza del dissenso, ma finalizzate all’acquisizione di un vero e proprio consenso per attività marketing precedentemente negato.
La decisione della Suprema Corte
La nota compagnia telefonica decideva di impugnare l’arresto del Tribunale milanese, dinanzi alla Suprema Corte, la quale, tuttavia, confermava la pronuncia con l’ordinanza del 26 aprile 2021 n. 11019, sulla scorta delle ragioni di diritto, di cui di seguito.
In primo luogo, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo che il Tribunale milanese avesse giudicato, tenuto conto della motivazione del provvedimento del Garante, ritenendola idonea e non censurabile, nella parte in cui la stessa Autorità aveva ritenuto la campagna di “recupero del consenso” finalizzata a proporre nuove iniziativi commerciali.
In secondo luogo, la Suprema Corte ha qualificato la natura dell’attività volta al recupero dei consensi, negati due anni prima, quale comunicazione commerciale, ai sensi dell’art. 7 co. 4 del Codice privacy.
Difatti, la Corte ha statuito:
“Ed infatti, una comunicazione telefonica finalizzata ad ottenere il consenso per fini di marketing, da chi l’abbia precedentemente negato è essa stessa una comunicazione commerciale. La finalità alla quale è imprescindibilmente collegato il consenso richiesto per il trattamento non può non concorrere a qualificare il trattamento stesso, ragione per cui il trattamento dei dati dell’interessato per chiedere il consenso per fini di marketing è esso stesso un trattamento per finalità di marketing”.
La Suprema Corte ha aggiunto che è fatto divieto di effettuare la già menzionata campagna anche nei confronti di coloro che hanno comunque prestato il consenso. Si tratta, difatti, di un consenso ottenuto a seguito di un utilizzo illecito dei dati personali della clientela.
In tal caso, la finalità del contatto con il cliente è pur sempre quella di stampo commerciale, indipendentemente dal fatto che la telefonata sia compiuta al fine di effettuare la vendita dei beni o servizi: se si ritenesse il contrario, il sistema dell’opt out introdotto dall’art. 130 co. 3 bis del Codice privacy, sarebbe del tutto vanificato. L’iniziativa di revocare il dissenso deve, dunque, dipendere esclusivamente dall’iniziativa del singolo cliente.
Conclusioni
L’ordinanza della Suprema Corte si pone, quindi, in linea con l’attività dell’Autorità garante per la protezione dei dati, che contestualmente continua la sua battaglia nei confronti del cosiddetto “telemarketing selvaggio”. In particolare, di recente sono state sanzionate tre società di call center per attività illecite in ambito commerciale e promozionale. Il Garante ha ribadito, anche in questa sede, l’obbligo della previa acquisizione del consenso per l’effettuazione di telefonate di marketing, sollecitando l’implementazione delle necessarie misure tecniche ed organizzative.
Invero, la pronuncia della Suprema Corte avvalora una posizione diversa rispetto ad una precedente decisione del Tribunale di Roma, la n. 10789 del 1° agosto del 2019, nella quale i giudici della capitale avevano accolto il ricorso di un’altra nota compagnia telefonica avverso ad un provvedimento del Garante.
In questo caso, il Tribunale aveva annullato il provvedimento ed accertato la legittimità della condotta della compagnia telefonica consistita nell’invio di messaggi diretti ad aggiornare le preferenze della propria clientela – sia nuova sia storica – in assenza di un previo consenso, in materia di protezione dei dati personali.