Il Tribunale di Roma, con la recente sentenza n. 16508/2020, si è pronunciato sulla contraffazione di un noto marchio di calzature, posta in essere mediante l’esecuzione di importazioni parallele di prodotti.

Di Dario Malandrino


Per “importazioni parallele”, si intendono le importazioni di prodotti originali acquistati all’estero a un prezzo più basso di quello del paese in cui i prodotti vengono importati. Tale pratica ha come naturale conseguenza, da un lato, quella di un maggiore guadagno sul prezzo di rivendita di un determinato prodotto al dettaglio per l’importatore e quella di arrecare potenzialmente un danno ingiusto al primo rivenditore di quello stesso prodotto in quel paese, dall’altro.

In particolare e nel contesto del giudizio, la società attrice, in qualità di licenziataria esclusiva per l’Italia del marchio in questione, agiva per contraffazione di marchio e concorrenza sleale ex articolo 2598 del Codice Civile, contro un’altra società convenuta, la quale aveva acquistato e commercializzato in Italia calzature recanti marchi identici a quelli attorei provenienti dal mercato fuori dello Spazio economico europeo. Si trattava in particolare di importazione dei prodotti provenienti dagli Stati Uniti.

La convenuta sosteneva a propria difesa che, in seguito all’acquisto dei prodotti da altro soggetto, il diritto di marchio si fosse esaurito, con conseguente assenza di contraffazione. Inoltre, provava a fare perno su un altro principio della proprietà industriale, applicabile a livello europeo, quello del c.d. “esaurimento”. In estrema sintesi, in base a tale principio, il titolare di un diritto di proprietà industriale, una volta che immette i suoi beni nel territorio dell’Unione Europea, non può opporsi ad ulteriori e successive commercializzazioni degli stessi (a condizione che: i beni in questione siano stati immessi col consenso del titolare e lo stato degli stessi non sia alterato). Piccola eccezione è costituita dai farmaci: per tale categoria continua a valere il principio dell’esaurimento nazionale e non europeo.

II Tribunale ha tuttavia precisato che il principio dell’esaurimento opera con riferimento esclusivo alle importazioni parallele intra-comunitarie e non trova pertanto applicazione per analogia in relazione alle importazioni extra-SEE che, pertanto, rimangono in ogni caso illecite.

Inoltre, nel caso di specie, ferma la non applicabilità del principio di esaurimento e una volta accertata l’illiceità dell’importazione, il Tribunale ha riconosciuto come tale attività di contraffazione integrasse altresì condotte di concorrenza sleale, sotto il duplice profilo della confusione generata tra i prodotti offerti in vendita dalla convenuta e quelli dell’attrice, in violazione pertanto del disposto dell’art. 2598, n. 1, c.c. (sul punto, infatti, il Tribunale ha ritenuto che il pubblico sarà indotto a ritenere che le calzature contraffatte, oltre che originali, siano legittimamente commercializzate in Italia) e dell’agganciamento dell’attività della convenuta con quella dell’attrice, in violazione dell’art. 2598, n. 2, c.c. nonché in violazione dei principi di correttezza professionale, ex art. 2598, comma 3, c.c..

In conclusione, attraverso l’offerta in commercio di calzature contraffatte, riproducenti il segno azionato dall’attrice ed identiche nelle forme, nelle linee e nei colori ai prodotti originali, la convenuta ha, secondo il Tribunale di Roma, voluto approfittare dell’accreditamento sul mercato e delle potenzialità attrattive del prodotto oggetto di causa, senza però sostenerne i costi e riducendo pertanto al minimo il proprio rischio imprenditoriale, andando così a concretizzare una condotta che è stata giudicata come illecita.

Immagine di Cole Ankney su Unsplash

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