La registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni realizzata, anche in modo occulto e clandestino da soggetto che partecipa alle conversazioni o comunicazioni, o comunque che è stato in qualche modo ammesso e autorizzato ad assistervi, costituisce prova documentale secondo la disciplina dell’art. 234 c.p.p., costituendo una forma di mera memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente.
La registrazione anche se effettuata in questo modo, ovvero all’insaputa delle altre persone presenti, e con un registratore o con uno smartphone nascosto non è riconducibile alla nozione di intercettazione.
A stabilire, o meglio a confermare questo principio già in parte espresso da un costante orientamento, è la Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia n. 7465 del 17 dicembre 2020.
Le intercettazioni regolate dagli artt. 266 e segg. cod. proc. pen. consistono nella captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscano con l’intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo, attuata da soggetto estraneo alla stessa comunicazione ovvero da soggetto che non è stato ammesso a partecipare alla conversazione o è al di fuori dello spazio in cui avviene la conversazione e che agisce con strumenti tecnici idonei a vanificare le cautele adottate per mantenere riservato il colloquio.
Ciò comporta, precisa la sentenza in commento, che tale attività di captazione costituisce una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo secondo la disposizione dell’art.234 cod. proc. pen., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità della persona che vi partecipa.
La questione all’attenzione degli ermellini nella sentenza in commento è differente da un’altra questione delicata e già molto discussa in dottrina e giurisprudenza ovvero quella secondo cui quando la fonoregistrazione viene effettuata da un agente attrezzato per il suono, per usare una citazione cara al compianto Maestro Franco Cordero, all’insaputa dell’indagato e con strumenti forniti dalla polizia giudiziaria che resta in ascolto da remoto e non vi sono provvedimenti autorizzativi dell’autorità giudiziaria, tale attività deve considerarsi inutilizzabile.
In tal modo infatti si finirebbe per eludere la norma che prevede la necessità di decreti motivati per adottare provvedimenti che limitano la libertà e la privatezza delle comunicazioni. In quest’ultima ipotesi, sempre secondo l’orientamento della Suprema Corte, ai fini della tutela dell’art. 15 Cost., è comunque sufficiente un livello di garanzia minore, rappresentato da un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria (e non anche dal Giudice per le indagini preliminari come per le intercettazioni), che può essere costituito anche da un mero decreto del pubblico ministero.
Ancora diverso è poi il caso di registrazioni fonografiche eseguite invece da uno degli interlocutori con strumenti di captazione occultati che, anche se forniti dagli organi investigativi (in questo caso però non restano in ascolto), essendo effettuate col pieno consenso di uno dei partecipi alla conversazione e in totale autonomia e indipendenza, implicano un minor grado di intrusione nella sfera privata e quindi possono essere effettuate e considerate pienamente utilizzabili nei limiti degli art. 615 bis e dell’art. 617 septies del codice penale. La registrazione di conversazioni tra presenti infatti, per evitare che possa configurare il delitto previsto e punito dall’art. 615 bis o dall’art 617 septies del codice penale deve essere giustificata dalla presenza di una causa di giustificazione, da un interesse superiore o uguale a quello tutelato dalla norma oppure dalla utilizzazione in un procedimento amministrativo o giudiziario o per l’esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca.
Infatti relativamente alla captazione che avviene in un luogo di privata dimora, ai sensi dell’art. 615 bis cp, se non ricorrono le cause di giustificazione sopra richiamate, chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati di privata dimora o di domicilio, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e la pena è aggravata se l’autore della registrazione rivela o diffonde mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute. Mentre ferma restando l’assenza delle cause di giustificazione enunciate in precedenza e una querela proposta nei termini, chiunque, al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione, è punito con la reclusione fino a quattro anni.
Dicevamo quindi prova documentale dunque e non intercettazioni. Ciò era del resto già stato detto dai giudici della Corte a proposito degli audio /video registrati da un soggetto con whatsapp (cd messaggi “vocali”) e portati all’attenzione delle forze di polizia o dell’Autorità giudiziaria.
Il valore di prova legale delle conversazioni avvenute tramite Whatsapp è relativo al loro essere documento ex art. 234 cpp. E lo stesso avviene per gli sms o per gli screen shot che una parte (anche in sede civile) vuole produrre in giudizio per dimostrare le proprie ragioni o per accertamento e repressione dei reati.
Ciò che però emerge dall’orientamento della Suprema corte in questi ultimi anni è che per l’utilizzabilità delle chat in giudizio in alcune ipotesi è necessaria l’acquisizione del supporto telematico usato per la registrazione. Allo stesso modo, una recente sentenza ha formalmente riconosciuto il valore di piena prova anche agli sms e alle email, i quali non possono essere disconosciuti mediante una generica e apodittica contestazione ma soltanto con una dimostrazione della loro alterazione o difformità tale da suscitare il dubbio nell’organo giudicante circa la loro genuinità.
Si tratta di un orientamento di grande valore pratico: infatti tramite Whatsapp è possibile acquisire informazioni testuali, immagini (come fotografie) ed anche registrazioni audio, che possono essere fondamentali per la risoluzione di un caso in giudizio. Copiosa è la dottrina in materia di indagini informatiche e computer forensics alla quale per brevità si rimanda in nota[1].
La veridicità e l’affidabilità delle chat e quindi la genuinità della digital evidence sembra essere confermata soprattutto se si esamina direttamente il supporto tecnologico usato per la registrazione.
I contenuti Whatsapp (immagini, messaggi, registrazioni audio) rappresentano la memorizzazione di fatti storici. Ai sensi dell’articolo 234 cpp è consentito dunque acquisire in giudizio anche documenti che rappresentano fatti e persone mediante fotografie, cinematografia e fonografia o qualsiasi altro mezzo idoneo.
Dall’altro lato, però, la Cassazione ha ribadito che il valore legale della messaggistica e dei suoi allegati è subordinato all’acquisizione durante il processo del supporto telematico che contiene la conversazione e spetta alla controparte provare in modo concreto e fattuale eventuali difformità rispetto agli originali.
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