Premessa
Lo scorso 17 maggio, con una sentenza della Grande Sezione, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”, di seguito, per brevità, la “Corte”) ha sancito un importante principio in materia di clausole abusive nei contratti stipulati tra professionisti e consumatori.
La Corte, con tale provvedimento, ha deciso sui procedimenti riuniti C-693/19 e C-831/19, aventi ad oggetto una questione pregiudiziale proposta dal Tribunale di Milano e relativa all’interpretazione degli articoli 6 e 7 della Direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti business to consumer (di seguito, la “Direttiva”).
In particolare, il giudice del rinvio ha chiesto alla CGUE se – ed a quali condizioni – gli articoli citati siano d’ostacolo ad un ordinamento nazionale, come quello italiano, che preclude al giudice dell’esecuzione di effettuare un sindacato sul contenuto intrinseco di un titolo che abbia ormai acquistato autorità di giudicato.
Con la pronuncia in esame, i Giudici europei, dirimendo tale questione, hanno stabilito che essi devono essere interpretati nel senso che la normativa nazionale di uno Stato membro non può precludere al giudice dell’esecuzione di valutare il carattere abusivo delle clausole di un contratto per il quale il professionista abbia ottenuto un decreto ingiuntivo divenuto esecutivo.
In altre parole, la Corte di Giustizia ha acconsentito, in presenza di alcune circostanze, ad un superamento del c.d. “giudicato implicito”, il quale, per i Giudici, non può comportare una violazione dei principi di equivalenza e di effettività della tutela consumeristica.
Inoltre, con tale decisione, la Corte ha altresì chiarito che se, alla data in cui il decreto ingiuntivo diviene definitivo, il debitore ignori di poter essere qualificato come consumatore ai sensi della Direttiva, tale circostanza non può ostacolare la rilevabilità d’ufficio, nella fase esecutiva, della nullità delle clausole che determinano un significativo squilibrio a suo svantaggio.
Il quadro normativo di riferimento, in breve
Il Considerando n. 24 e l’articolo 7 della Direttiva, che vanno letti in combinato tra loro, impongono agli Stati membri di disporre, nell’interesse dei consumatori, di mezzi adeguati ed efficaci al fine di impedire l’inserimento di clausole abusive nei contratti stipulati tra professionisti e consumatori.
L’articolo 6, par. 1, della medesima Direttiva sancisce, poi, che «gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato tra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».
L’ordinamento italiano ha recepito la Direttiva con il decreto legislativo n. 206/2005 (c.d. “Codice del consumo”), il quale, all’art. 33, par. 1, dispone che «nel contratto concluso tra il professionista ed il consumatore, si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto».
Il successivo paragrafo 2 riporta un elenco di clausole che, fino a prova contraria, si presumono vessatorie nel senso sopra precisato e l’art. 36 del Codice sancisce, a favore del consumatore, una “nullità di protezione”, affermando che le clausole vessatorie sono nulle, mentre il contratto rimane valido per il resto.
Tale speciale ipotesi di nullità, tuttavia, può essere fatta valere solo dal consumatore o rilevata d’ufficio dal giudice a tutela di quest’ultimo.
I procedimenti esecutivi di specie
I procedimenti esecutivi in cui si è inserita la pronuncia in esame si basavano su due decreti ingiuntivi divenuti esecutivi, non avendo il consumatore proposto opposizione avverso di essi.
Tali decreti erano stati emessi in forza di due contratti business to consumer, i quali prevedevano, in caso di ritardo del consumatore nell’esecuzione dei suoi obblighi, l’applicazione di alcune clausole ritenute abusive dal giudice dell’esecuzione.
Tuttavia, in forza del giudicato implicito formatosi sui decreti ingiuntivi, tutte le clausole contenute nei contratti, comprese le clausole in questione, erano da considerarsi come già esaminate e ricomprese in tale forma di giudicato.
In altri termini, il giudice dell’esecuzione riteneva di non poter valutare il carattere abusivo delle clausole dei contratti, avendo i decreti ingiuntivi acquisito autorità di cosa giudicata.
L’orientamento prevalente della nostra giurisprudenza di legittimità, infatti, sostiene la tesi per cui un decreto che non sia stato oggetto di opposizione acquista autorità di cosa giudicata non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda.
Tale giurisprudenza ha portato ad applicare anche al decreto ingiuntivo non opposto il principio del cosiddetto “giudicato implicito”, secondo il quale il giudice che si è pronunciato su una determinata questione ha necessariamente risolto anche tutte le altre questioni, ad essa preliminari.
Tuttavia, secondo il giudice del rinvio dei procedimenti in questione, l’assenza di una espressa valutazione in ordine al carattere abusivo delle clausole comportava, nei casi di specie, una tutela incompleta ed insufficiente del consumatore, in violazione dei principi di equivalenza ed effettività della tutela.
È per tali motivi che, ciò posto, il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Milano ha deciso di sospendere i due procedimenti e di sottoporre alla Corte la questione pregiudiziale descritta.
La decisione della Corte di Giustizia
I Giudici europei, nell’esaminare la questione, si soffermano, preliminarmente, sul sistema di tutela istituito dalla Direttiva 93/13, la quale si fonda sull’idea che il consumatore si trovi in una posizione di svantaggio nei confronti del professionista, sia con riguardo al suo potere negoziale, sia per un’oggettiva asimmetria informativa.
Alla luce di tale situazione di squilibrio contrattuale, la Direttiva prevede che le clausole abusive non vincolino i consumatori: si tratta di una disposizione imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra le parti del contratto.
È in tale contesto che si inserisce, altresì, il potere-dovere del giudice di rilevare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della Direttiva citata, ovviando, in tal modo, allo squilibrio esistente tra il consumatore e il professionista, a tutela del contraente debole.
I Giudici europei affermano, tuttavia, che se è vero che la Corte ha così inquadrato il modo in cui il giudice nazionale può (e deve) assicurare la tutela dei diritti che sorgono, in capo ai consumatori, dalla Direttiva in parola, ciò non toglie che il diritto dell’Unione non armonizza le procedure applicabili all’esame del carattere abusivo di una clausola contrattuale, rientrando le stesse nella discrezionalità dei singoli Stati, in forza del principio dell’autonomia processuale.
Ciò, tuttavia – precisano i Giudici – a condizione che tali procedure non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano impossibile o eccessivamente gravoso l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività della tutela).
Ciò premesso, la Corte si sente chiamata a stabilire se tali considerazioni impongano che il giudice dell’esecuzione abbia il dovere di controllare l’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali, anche a dispetto delle norme processuali nazionali che attuano il principio dell’autorità di cosa giudicata ad una decisione non preceduta da alcuna espressa valutazione sul punto.
A tal proposito, la Corte di Giustizia ricorda, dapprima, l’importanza che l’autorità di cosa giudicata riveste tanto nell’ordinamento giuridico dell’Unione, quanto negli ordinamenti giuridici nazionali, essendo volta a garantire la stabilità del diritto e la certezza dei rapporti giuridici.
In secondo luogo, i Giudici si soffermano sui diritti dei consumatori, ed in particolare sui principi di equivalenza e di effettività della loro tutela: ogni caso in cui sorge la questione su se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione, dovrebbe essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nel procedimento, del suo svolgimento e delle sue peculiarità, nonché, se del caso, dei principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali il diritto alla difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del processo.
Con riguardo alla questione pregiudiziale ed ai procedimenti di specie, i Giudici arrivano ad affermare che, in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole di un contratto business to consumer, il rispetto dei diritti conferiti dalla Direttiva 93/13 non può essere garantito, con grave lesione dei principi di equivalenza ed effettività anzidetti.
Una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata, in assenza di una preventiva espressa valutazione sul punto, tenuto conto della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sotteso alla disciplina consumeristica, priva del suo contenuto l’obbligo, incombente sul giudice nazionale, di rilevare il carattere abusivo delle clausole contrattuali.
Ne consegue che, per la Corte di Giustizia, l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l’eventuale carattere abusivo delle clausole di un contratto in forza del quale sia stato emesso un decreto ingiuntivo divenuto esecutivo.
Per tutto quanto sopra esposto, la Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, decidendo sulle due cause riunite C-693/19 e C-831/19, ha così risolto la questione pregiudiziale sottopostale: “l’articolo 6, par. 1, e l’articolo 7, par. 1 della Direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa – per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo.”
Gabriella Amato