L’emergenza sanitaria determinata dalla diffusione del Coronavirus ha determinato una situazione del tutto inedita dal punto di vista costituzionale messa ben in luce dalle recenti pronunce giurisprudenziali.
Con sentenza del 27/02/2021 si è pronunciato il Tribunale di Reggio Emilia sulla legittimità di uno dei primi DPCM adottati dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Con una decisione che ha fatto sicuramente discutere, aprendo nuovi dibattiti nel panorama degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali già intervenuti sulla questione, il Giudice per le indagini preliminare del Tribunale di Reggio Emilia, ha ribadito il principio costituzionale della libertà personale (articolo 13 Cost.), che da oltre un anno sembra aver ceduto il passo alle istanze emergenziali riguardanti la salute pubblica e oggetto dei vari provvedimenti presidenziali del Consiglio dei Ministri.
Nel caso di specie, il GIP competente ha rigettato la richiesta del PM di emettere un decreto penale di condanna nei confronti dei due indagati in relazione al delitto di cui all’articolo 483 c.p. per aver entrambi compilato un’autocertificazione dichiarando falsamente di trovarsi fuori dalla loro abitazione per sottoporsi a esami clinici, in contrasto a quanto previsto dall’obbligo imposto dal DPCM 8/03/2020. I carabinieri avevano successivamente accertato che gli interessati non avevano fatto alcun accesso presso gli ospedali indicati, e pertanto non avevano svolto alcuna visita medica, dichiarando conseguentemente il falso.
Il DPCM in esame, e gli altri avvenire, per il contrasto alla diffusione del virus COVID SARS 19 prevede, estendendo le misure a tutto il territorio nazionale, il divieto di qualsiasi spostamento delle persone fisiche, salvo gli spostamenti giustificati da esigenze lavorative o situazioni di necessità o per motivi di salute. Gli allontanamenti dalla propria abitazione devono comunque essere dichiarati e comprovati da un’apposita autocertificazione.
Il GIP argomenta il rigetto dell’istanza e l’assoluzione dei due indagati dichiarando l’illegittimità del DPCM, individuando il vulnus della fonte regolamentare nella parte in cui stabilisce un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configurando in tal modo un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare e una grave violazione della libertà personale di cui all’articolo 13 della Costituzione.
Tuttavia, come ben argomentato dalla Corte, l’obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale afflittiva, restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice penale per alcuni reati all’esito del giudizio o in via cautelare in una misura di custodia cautelare disposta dal giudice, ricorrendo i presupposti di legge, all’esito di un procedimento disciplinato normativamente.
Ai sensi dell’articolo 13 una restrizione della libertà personale necessita di due condizioni: una riserva assoluta di legge, ovvero che vi sia una norma di legge che la preveda, e che sia il giudice a disporla nel rispetto della riserva di giurisdizione.
Le misure di contenimento previste dal governo difettano di entrambe le condizioni, in quanto previste da un regolamento, e non da un atto avente forza di legge, che in quanto tale rientra tra le fonti secondarie e non è disposto dal giudice.
Il GIP evidenzia che il DPCM in quanto atto amministrativo deve essere direttamente disapplicato dal giudice a quo ai sensi dell’articolo 5 della legge n. 2248 del 1865, non dovendosi sollevare questione di legittimità costituzionale.
Inoltre, il giudice non condivide il tentativo di ritenere il DPCM conforme alla costituzione in quanto limitativo della sola libertà di circolazione di cui all’articolo 16 della Cost. e non della libertà personale. Infatti, la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi il cui accesso può essere precluso perché ad esempio ritenuti pericolosi, ma non può certamente comportare un obbligo di permanenza domiciliare.
In sintesi, dal ragionamento del giudice risulta non antigiuridica la condotta di compilare una falsa autocertificazione, illegittimamente imposta ai cittadini, e prevista da un obbligo incostituzionale di permanenza domiciliare.
La pronuncia del GIP di Reggio Emilia non è la prima a dimostrare la non conformità degli atti amministrativi che si sono susseguiti nel periodo pandemico. Da ultimo, infatti, si è espresso anche il Tribunale di Milano assolvendo il 24 enne protagonista della vicenda in quanto «non sussiste alcun obbligo di dire la verità, per il privato che si trovi sottoposto a controllo nelle circostanze, sui fatti oggetto dell’autocertificazione sottoscritta» e se vi fosse un tale obbligo sarebbe in palese contrasto con il diritto della difesa del singolo.
In quanto giuristi non possiamo fare a meno di riflettere sulle conseguenze che le misure adottate continuano ad avere sulla sfera delle libertà costituzionali.
Lo stato di necessità e urgenza, nel nostro assetto costituzionale, giustifica delle deroghe ma non in modo indiscriminato. Anche di fronte a una situazione emergenziale, il nostro stato di diritto richiede stringenti limiti e controlli al Governo per incidere restrittivamente sui diritti e libertà fondamentali.