In una recente pronuncia, il Consiglio di Stato si è espresso sull’applicabilità alle Casse e agli Enti previdenziali privatizzati delle disposizioni del CAD in materia di adesione al Sistema pagoPA e, di conseguenza, sull’assoggettabilità di tali enti di diritto privato all’obbligo normativo di avvalersi della piattaforma e alle relative Linee guida adottate dall’AgID. Anche quella di “amministrazione digitale” si conferma una nozione “a geometria variabile”.

Di Alessandro Greco


Il Consiglio di Stato, con la recente sentenza della Sezione IV 8 marzo 2021 n. 1931, ha affermato che sono legittime le Linee guida per l’effettuazione di pagamenti a favore delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi – emanate dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) ai sensi dell’art. 5, comma 4, d.lgs. n. 82 del 2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale, anche solo “CAD”) – nella parte in cui affermano che sono sottoposti all’obbligo di adesione al Sistema pagoPA tutti gli enti inclusi nell’elenco ISTAT delle amministrazioni inserite nel conto economico consolidato dello Stato, ivi comprese le casse e gli enti previdenziali privatizzati ai sensi della legge. n. 509 del 1994.

La vicenda si inserisce nell’ampia casistica di problemi interpretativi in cui non di rado l’interprete incorrere nell’individuare l’ambito soggettivo di applicazione delle norme di diritto pubblico e, in particolare, di quelle in materia di digitalizzazione della pubblica amministrazione.

Com’è noto, quella di “pubblica amministrazione” è una nozione elastica, o “a geometria variabile”, secondo una celebre espressione in uso nella giurisprudenza amministrativa. Sarebbe a dire che l’insieme dei soggetti tenuti all’applicazione delle norme di diritto pubblico non sempre è definito a monte, ma può estendersi o contrarsi a seconda del criterio applicativo adottato dal Legislatore, in accordo alle finalità perseguite. Tanto che la qualificazione in senso pubblicistico di un soggetto può prescindere dalla veste di diritto privato che esso formalmente assume. Basti pensare, ad esempio, alla nozione di organismo di diritto pubblico e all’applicazione della disciplina in materia di contratti pubblici.

Da questo punto di vista le norme in materia di digitalizzazione amministrativa non fanno eccezione e, anzi, confermano l’efficacia descrittiva della nota metafora spaziale.

Il CAD, infatti, all’articolo 2 (rubricato “Finalità e ambito di applicazione”) detta molteplici criteri per definire altrettanti ambiti di applicazione, o esclusione, delle norme in esso contenute, a cui sovente è fatto rinvio – non sempre in modo esplicito – all’interno del corpo normativo.

Il comma 2 dell’art. 2 CAD – nella versione risultate a seguito delle modifiche di cui ai decreti legislativi n. 179 del 2016 e 217 del 2017 – individua i soggetti a cui si applicano interamente le norme del Codice, tra cui figurano:

  1. le pubbliche amministrazioni “in senso stretto”, come individuate ai sensi del Testo unico delle norme in materia di pubblico impiego (d.lgs. 165 del 2001), nonché gli altri enti espressamente menzionati dalla norma;
  2. i gestori di servizi pubblici (comprese le società quotate), relativamente ai servizi di pubblico interesse;
  3. le società a controllo pubblico (con alcune peculiari eccezioni), come definite dal Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (d.lgs. 175 del 2016).

Non solo, dunque, le pubbliche amministrazioni, ma anche altri soggetti che, almeno formalmente, assumono la veste di enti di diritto privato, come i gestori di servizi pubblici e le società a controllo pubblico[1].

A ciò si aggiunga che ulteriori e diversificati ambiti di applicazione si rinvengono in numerose leggi speciali. Basti pensare, ad esempio, al d.p.r. n. 445 del 2000 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), che disciplina l’uso di sistemi di protocollazione e gestione informatica dei documenti, oppure alle norme in materia di razionalizzazione dei data center di cui all’art. 33-septies del d.l. n. 179 del 2012 (c.d. “Decreto Crescita 2.0”).

Il quadro normativo, dunque, è assai complesso e articolato. L’ambito di applicazione delle norme sulla digitalizzazione della PA, infatti, può variare:

  • secondo un criterio soggettivo, in base alla natura o a particolari qualità del destinatario della norma;
  • secondo un criterio oggettivo, a seconda della tipologia di attività svolta;
  • secondo criteri di carattere funzionale e teleologico, in ragione della funzione esercitata e del fine perseguito dall’ente.

L’applicazione di tali criteri non sempre è di facile soluzione. E, inoltre, la frammentazione normativa, unitamente alla tendenza del Legislatore a non effettuare con costanza precisi rinvii normativi, contribuiscono spesso a generare seri dubbi all’interprete.

La sentenza in commento, dunque, è di particolare interesse perché mette luce su una delle tante zone grigie in cui è possibile incorrere, offrendo spunti per l’interpretazione delle norme in materia di digitalizzazione degli enti pubblici.

È oggetto di discussione, in particolare, la nozione di “pubblica amministrazione” dell’art. 5 del CAD, come modificato ad opera dell’art. 15, comma 5-bis, del d.l. n. 179 del 2012 (convertito in l. n. 221 del 17 dicembre 2012), che ha previsto la realizzazione della piattaforma pagoPA e ne ha introdotto l’obbligo di adesione in capo a tutti i soggetti di cui all’art. 2, comma 2, del CAD. L’ambito di applicazione così definito, poi, è stato ulteriormente precisato al par. 4 delle richiamate Linee guida dell’AgID, secondo cui il citato art. 15, comma 5-bis, ha esteso   genericamente   alle   pubbliche amministrazioni l’obbligo a collegarsi all’infrastruttura, includendo tra i destinatari non solo amministrazioni, gestori di servizi pubblici e società a controllo pubblico, ma in generale tutti gli enti indicati nell’elenco annuale dell’ISTAT del conto economico consolidato dello Stato (secondo lo stesso criterio adoperato dalla Circolare MEF-PCM n. 1 del 2015 in materia di obbligo di fatturazione elettronica verso le PA).

Il Consiglio di Stato, investito della questione, ribalta l’orientamento sostenuto in primo grado dal TAR Lazio-Roma, e afferma la piena applicazione dell’obbligo di adesione alla piattaforma pagoPA delle casse e degli enti previdenziali privatizzati.

Il Collegio giunge a tale conclusione sulla scorta dei seguenti argomenti:

  1. le casse e gli enti previdenziali privatizzati, in relazione alle loro funzioni istituzionali, pur non rientrando nella definizione di pubblica amministrazione in senso stretto, sono attratti nella sfera dei soggetti che gestiscono un servizio di rilievo pubblicistico, peraltro di rilevo costituzionale (ex art. 38 Cost.): ne sono chiari indici la sottoposizione al potere di vigilanza ministeriale e al controllo della Corte dei conti sulla gestione;
  2. tali enti, d’altronde, fruiscono di finanziamenti pubblici, sia pure in modo indiretto e mediato (in particolare, mediante sgravi fiscali, nonché la previsione dell’obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione), attraverso risorse comunque distolte da quelle destinate a fini generali;
  3. non rileva il fatto che alle casse e gli altri enti previdenziali privatizzati non si applichino le norme di spendig review – come affermato della giurisprudenza dello stesso Consiglio di Stato – perché la finalità perseguita dal Legislatore con l’istituzione della piattaforma tecnologica, anche in attuazione della Direttiva (Ue) 2015/2366 (relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno), è quella di garantire omogeneità per le operazioni di pagamento e di incasso nell’ambito di tutto il sistema degli enti inseriti nel c.d. conto consolidato dell’ISTAT;
  4. inoltre, il comma 5-bis dell’art. 15, d.l. n. 179 del 2012 non reca alcuna delimitazione alla definizione di pubbliche amministrazioni con riferimento all’ambito applicativo del CAD, dunque l’inserimento degli enti e della casse previdenziali private è pienamente compatibile con il dato normativo;
  5. infine, il richiamo da parte delle Linee guida Circolare MEF-PCM n. 1 del 2015, che, con riferimento alla fatturazione elettronica, fa riferimento alle amministrazioni pubbliche in senso ampio, risulta appropriato, essendo ravvisabile una uguale ratio nell’esigenza di assicurare una omogeneità di piattaforma digitale sia sul fronte degli incassi che sul versante dei pagamenti.

Come visto, dunque, l’applicazione dei diversi criteri e indici normativi – nonostante il differente e autorevole avviso del TAR Lazio – ha consentito di affermare l’estensione particolarmente ampia dell’obbligo di adesione alla piattaforma pagoPA, confermando ancora una volta la validità della rappresentazione a geometria variabile della nozione di pubblica amministrazione anche in materia di amministrazione digitale.

L’ambito di applicazione dell’obbligo di utilizzo della piattaforma pagoPA, peraltro, è di ampia portata non solo in senso soggettivo, ma anche in senso oggettivo. Com’è noto, infatti, tale obbligo ricade su tutte le tipologie di pagamenti in cui sono parte i soggetti tenuti all’adesione, salve alcune eccezioni relative a particolari metodi di pagamento (cfr. il par. 5 delle richiamate Linee guida). Anche dal punto di vista oggettivo, dunque, questo precedente può rivelarsi utile al fine di risolvere eventuali incertezze applicative.


[1] Il successivo comma 3, poi, estende a chiunque l’applicazione delle disposizioni (ivi comprese le linee guida attuative) in materia di formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici, nonché in materia di comunicazioni elettroniche e di identità digitale. Il comma 6, invece, esclude l’applicazione del Codice all’esercizio delle attività e funzioni di ordine e sicurezza pubblica, difesa e sicurezza nazionale, polizia giudiziaria e polizia economico-finanziaria e consultazioni elettorali, nonché alle comunicazioni di emergenza e di allerta in ambito di protezione civile.

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