Nell’ambito del diritto d’autore italiano la dottrina c.d. fair use è argomento controverso. Sebbene essa sia assente nei nostri codici, non è possibile affermare in modo assoluto che non trovi applicazione, almeno in parte, all’interno della nostra giurisprudenza. La recente sentenza del Tribunale di Roma N. 6504/2021 è un esempio di come sempre più spesso i giudici nazionali siano favorevoli all’utilizzo del fair use.

Di Edoardo Di Maggio

La sentenza vede scontrarsi la Unidis Jolly Film S.r.l. (“Unidis”) e la Paramount Home Entertainment Italy S.r.l. (“Paramount”) (insieme ad altre società[1]), nei rispettivi ruoli di attore e convenuto, riguardo a una scena del film d’animazione “Rango”. Prodotto dalla Paramount, il film vede l’ingresso del personaggio soprannominato “Spirito del West”. Secondo la Unidis, il personaggio sfrutta abusivamente i diritti d’autore su “l’Uomo Senza Nome”, il protagonista interpretato da Clint Eastwood nella trilogia spaghetti western diretta da Sergio Leone, composta da “Per un pugno di dollari”, “Per qualche dollaro in più” e “Il buono, il brutto e il cattivo”[2]. Non soltanto il personaggio della Paramount ha gli stessi costumi de “l’Uomo Senza Nome”, ma è anche rappresentato con i tratti somatici di Clint Eastwood. Rispetto a “l’Uomo Senza Nome”, “Spirito del West” appare tuttavia più anziano. Esso è poi accompagnato da un caddy, un metal detector e delle statuette: evidenti rimandi alla carriera del famoso attore della trilogia.

La Unidis lamenta la somiglianza del personaggio “Spirito del West” con “l’Uomo Senza Nome”, allegando, tra le altre, la prova del suo precedente rifiuto di concederne licenza alla Paramount. Contro la denuncia di Unidis, la convenuta si difende per quel che interessa in tal sede, rivendicando

  1. l’inesistenza di caratteristiche autoriali in capo al personaggio “l’Uomo Senza Nome”, e
  2. il legittimo esercizio del diritto di parodia[3].

In merito al primo motivo è interessante rilevare che la sentenza dia ragione alla Paramount. in particolare, il Tribunale giustifica l’utilizzo delle fattezze dell’attore Clint Eastwood e del personaggio de “l’Uomo Senza Nome” basandosi da una parte sulla scarsa durata del “cameo” rispetto quella del film (circa 1 minuto e mezzo, contro 107 minuti), dall’altra facendo riferimento alla dottrina del c.d. “scarto semantico”, ovvero a dire la immediata riconoscibilità del personaggio da parte degli spettatori, indipendentemente dal contesto in cui esso è collocato. La misura dello “scarto semantico” va ricercata nei caratteri di individualità e originalità conferiti dall’autore alla sua opera e nell’immediata riconoscibilità della stessa da parte del pubblico.

Secondo il Magistrato, non è possibile affermare che il personaggio di Sergio Leone possieda uno scarto semantico tale da isolarlo dal contesto in cui è inserito. Piuttosto, “l’Uomo Senza Nome” è il risultato di un collage di precedenti opere che hanno contribuito nel tempo a cristallizzare un archetipo del personaggio. In sostanza, lo spettatore medio difficilmente sarebbe in grado di riconoscere proprio “l’Uomo Senza Nome” se questo fosse collocato in un contesto diverso dai film di Sergio Leone (a differenza di altri famosi soggetti come James Bond o Sherlock Holmes, riconoscibili in svariati contesti). Per fare un parallelismo del tutto innocuo e senza pretese, se parlassimo di segni distintivi, questa fattispecie potrebbe essere accostata alla c.d. diluizione[4]. Sergio Leone stesso affermava all’epoca di essersi ispirato per il suo protagonista ad altre opere, come le pellicole del regista giapponese Akira Kurosawa. Ciò ha fatto sì che “l’Uomo Senza Nome” fosse in parte contaminato da un filone già in voga e altamente conosciuto: quello dell’antieroe.

Il Giudice insiste sul fatto che per quanto lo “Spirito del West” abbia un ruolo chiave all’interno della pellicola, esso non costituisca una violazione, anche a causa della differenza di durata fra il film (107 minuti) e il “cameo” del personaggio (circa un minuto e mezzo). Quest’affermazione è senz’altro agevolata dalla recente giurisprudenza sul tema. Lo stesso Tribunale di Milano[5] ha stabilito che “per verificare che la riproduzione o la citazione di un’opera sia lecita, si richiede di valutare in particolare la quantità e l’importanza della parte utilizzata, in rapporto all’insieme dell’opera protetta, nonché l’effetto del suo impiego sul mercato”. A tal proposito, il Tribunale fa riferimento al fair use avallando il principio secondo il quale non può esistere un plagio commercialmente innocuo e perciò la sussistenza dello stesso va ricercata nell’entità dell’uso che si è fatto dell’opera asseritamente plagiata.

In conclusione, il personaggio della Paramount non compare per un tempo sufficientemente lungo all’interno del film, e, come visto sopra, esso non risulta in conflitto con il personaggio rivendicato dalla Unidis, a causa di un insufficiente scarto semantico che renda quest’ultimo immediatamente riconoscibile dallo spettatore.

Per quanto riguarda la sussistenza del diritto di parodia, ossia la legittima rielaborazione di un’opera a fini comici e dissacratori, il Giudice fa riferimento alla decisione della Corte di giustizia UE Deckmyr/Vandersteen[6]. In questo caso si afferma che la parodia dà origine ad un autonomo diritto in capo al suo autore ove sia “percettibile” e abbia carattere “umoristico e canzonatorio”.

La definizione risulta inapplicabile alla Paramount, poiché il suo personaggio non evoca toni dissacratori contro “l’Uomo Senza Nome” ma piuttosto ne richiama alcune caratteristiche. Di conseguenza, la parodia non è ravvisabile, ma si è bensì di fronte a un caso di citazionismo.

Quest’istituto è regolato dall’art. 70 legge sul diritto d’autore (“l.d.a.”)[7] il quale stabilisce che la citazione di parti di un’opera è lecita a condizione che non costituisca concorrenza con la sua utilizzazione economica e sia effettuata per uso di critica e discussione. In questo caso, la Paramount ha in modo innocuo citato manifestamente parti limitate di un’opera e per una durata troppo breve. Per questo motivo la comparsa dello “Spirito del West” è marginale e non conferisce al personaggio un sufficiente significato economico. Dall’interpretazione della Corte si ricava come, senza un’interpretazione della l.d.a. favorevole al fair use, non sarebbe tuttavia stato possibile ottenere un tale risultato. Infatti, come visto sopra, dando per implicita la finalità economica della citazione di un’opera altrui (come impone la dottrina del fair use), è stato possibile superare la condizione di concorrenza con l’opera originaria e allargare così l’ambito di applicazione dell’art. 70 l.d.a..

Tale sentenza dimostra come anche la giurisprudenza nazionale si sia avviata verso una liberalizzazione dell’uso delle opere sulla base di un istituto di common law non ancora recepito. Che sia anche questo uno dei segnali d’innovazione e apertura del diritto d’autore nazionale e del superamento dei suoi dogmi?

[1] Insieme a Sky Italia S.r.l. e Universal Pictures Italy S.r.l..

[2] Delle tre pellicole, la Unidis ha prodotto solo la prima.

[3] Per tutte le difese della convenuta, fare riferimento a alla pagina 6 della sentenza del Trib. Roma 6504/2021,, visionabile al presente link: http://www.mondinirusconi.it/multimedia/allegati/url/718_Trib.%20Roma%2016-04-21.pdf.

[4] Tanya Aplin and Jennifer Davis, Intellectual Property Law: Text, Cases and Materials, l’istituto della diluizione è previsto soprattutto nei paesi di common law e consiste nell’indebolimento di un marchio celebre a causa dell’uso fattone da terzi in riferimento a prodotti e servizi diversi da quelli per cui è registrato, Oxford University Press, 2013, p. 373.

[5] Sent. Trib. Milano Sez. imprese n. 12451/2017.

[6] Corte di Giustiza europea, decisione C-201/13.

[7] Art. 70 comma I, L. 633/1941, “il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali”.

Immagine di Markus Winkler su Unsplash 

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